CALTAGIRONE – «Da tre anni la Chiesa diocesana sta vivendo alcune esperienze molto forti che toccano in modo particolare la sensibilità della comunità ecclesiale e civile. Fra queste penso soprattutto al Cara di Mineo».
Con queste parole, S.E. mons. Calogero Peri, vescovo di Caltagirone, fa sentire la voce della Chiesa calatina nel dibattito sull’identità e sul ruolo del Cara, invitando le istituzioni ad intraprendere atti e provvedimenti che «siano capaci di comprendere e regolamentare una realtà che va oltre ogni nostra rappresentazione».
«Abbiamo visto sorgere da un giorno all’altro una comunità – commenta mons. Peri -. Una comunità che abbiamo costruito noi, nata senza identità, non per propria scelta o per proprio impegno. Abbiamo poi dato, sempre noi, a questa comunità le regole, che nel giro di questi tre anni abbiamo più volte cambiato, a partire dall’ente gestore. Questo significa che è una realtà in fermento».
Rispetto a questo quadro istituzionale e normativo in costante cambiamento, che in qualche modo rappresenta anche l’esito di una vasta e articolata, quanto in evoluzione, disciplina internazionale, il Vescovo invita la politica e la comunità civile a tenere fermo il primato della persona.
«Mi rendo conto che ci troviamo, inutile nasconderlo, dinanzi a una realtà difficile e complessa – afferma -. La richiesta d’asilo politico riguarda regole internazionali e interroga un quadro europeo che fa rilevare prospettive e letture davvero molto diverse fra di loro. Alcuni Stati si appellano ad un’applicazione rigida delle norme, altri Stati vorrebbero, invece, interpretare le stesse norme in modo da garantire un’aderenza maggiore ai fenomeni, chiamarli con il loro nome per governarli meglio e provvedere ad una migliore accoglienza e integrazione dei migranti. Non mi inserisco in questa discussione molto tecnica. Voglio però ricordare a tutti – sottolinea mons. Peri -, e affermare allo stesso tempo, il primato della persona».
Si domanda il pastore della Chiesa calatina: «Le persone, il loro dramma, la loro storia, sono da noi sinceramente prese in considerazione, tutelate, rispettate?».
Nelle migrazioni dei popoli ci sono sempre progetti di vita che inducono molti a lasciare la propria terra d’origine per dirigersi verso un futuro di speranza e di pace. Molti italiani e siciliani, in particolare, conoscono bene queste dinamiche.
Oggi sono migliaia i giovani migranti che cercano uno sbocco lavorativo, che si vogliono ricongiungere a familiari che prima di loro hanno trovato un Paese che li ha accolti e ha dato loro un futuro.
Su queste prospettive la Chiesa calatina si è scommessa in prima linea con diversi progetti e occasioni di accoglienza di minori stranieri.
«Mentre ci arrovelliamo attorno a questioni di sistema – evidenzia ancora il Vescovo -, la storia ci ha superati e i problemi sono diventati più grandi delle nostre regole. Questo credo sia il motivo dell’insofferenza che di tanto in tanto scoppia a Lampedusa, come a Mineo. Qualcuno dice poi che al Cara i disordini vengono suscitati da coloro i quali non si vedono riconosciuto il diritto d’asilo e che pensano, così, di poter intimidire chi deve rivedere le loro pratiche. In realtà con la violenza non si risolve nulla. Ma mi chiedo: sono tutte vane le ragioni delle proteste?».
Dopo i fatti del 19 dicembre scorso; l’assegnazione di 3 milioni di euro al territorio, nell’ambito della legge di stabilità licenziata dal Parlamento; e l’annuncio di attivazione, a metà gennaio, di due commissioni negli uffici della Prefettura di Catania per dedicarsi in modo esclusivo e assai veloce alle audizioni dei richiedenti asilo del Cara, il Vescovo richiama ancora l’attenzione sul primato della dignità della persona e sul dovere della sua tutela.
«Ognuna delle forze politiche, su questa realtà, ha sempre dichiarato il proprio impegno, ma la situazione è rimasta sempre molto complessa – afferma il Vescovo -. Ho accolto le novità prospettate e sono molto attento alle proposte che emergono dal territorio. Spero davvero che si possano vedere presto segni tangibili di cambiamento e di miglioramento che, a mio avviso, saranno possibili solo se le persone, gli immigrati, i piccoli, i poveri che restano senza futuro, non saranno strumentalizzati. Questi nostri fratelli – conclude mons. Peri -, non possono e non devono rientrare in alcun gioco di forza o di interessi. Ora, mi auguro veramente che ci sia un intervento legislativo che sia capace di rendersi conto che la realtà è ben altra, che siamo in un’emergenza che non possiamo più gestire. La speranza è quella di avere un giorno un Occidente meno impreparato di quello di oggi».
2 gennaio 2014