Secondo giorno degli esercizi spirituali, ieri 26 marzo, in Cattedrale.
Il vescovo, S.E. mons. Calogero Peri, ha continuato la meditazione sulla vicenda di Abramo, soffermandosi sul passo del sacrificio di Isacco. «Quando Dio ci chiama, lo fa per nome. Ripetendolo due volte: “Abramo! Abramo!”. Perché nessuno possa fingere di non aver sentito». Nella risposta di Abramo si coglie l’autentica dimensione dell’uomo di fede. «Abramo non chiede, come avremmo fatto noi, “che vuoi da me Signore?”, ma risponde semplicemente: “Eccomi”. Ci sono». Come Maria si dichiara pienamente disponibile a ciò che Dio vuole proporgli. Nell’oggi della sua vita: «Bisogna tenere a mente due cose: i suggerimenti di Dio dicono sempre “hodie” (oggi); quelli del diavolo invece dicono “cras” (domani)».
Anche se la richiesta di Dio appare incomprensibile. Abramo ha avuto la promessa di una discendenza a 75 anni. Ed ha dovuto attendere fino a 100 anni perché la promessa si adempisse. «Perché Dio è sempre in ritardo rispetto alle nostre attese – ha continuato mons. Peri -. I suoi tempi non sono i nostri tempi». Ed ora tutto viene rimesso in discussione, «perché il nostro rapporto con Dio non sia legato a ciò che egli ci dà, ma a Lui». E dunque Abramo è costretto a ripartire, quando ormai pregustava il riposo. E ad andare ancora una volta dove Dio gli indicherà. Perché «noi vediamo la meta sempre da lontano. Dio ci indica una meta, che è sempre oltre, intervenendo sempre a tempo opportuno». Arrivati al monte, Abramo e Isacco proseguono la salita da soli, «perché nelle situazioni importanti della nostra vita siamo soli col nostro problema». Isacco domanda al padre dove sia l’agnello per il sacrificio. «Sempre ci lamentiamo con Dio, perché ci manca qualcosa». Dimenticandoci di ciò che abbiamo e Lui ci ha dato.
Mons. Peri ha anche accennato ai problemi di interpretazione del testo: «Gli esegeti ci diranno che, in un contesto come quello cananeo, in cui erano previsti i sacrifici umani, Abramo si sarà sentito in dovere di non essere da meno».
La conclusione della vicenda è a lieto fine. «L’angelo ferma la mano che tiene il coltello. Noi vorremmo che ci fosse un angelo anche nelle nostre vicende, un angelo che interviene magari all’ultimo momento. Ma a noi viene chiesta a volte un’esperienza di fede ancora più forte di quella di Abramo». È l’esperienza della Croce, in cui il Padre offre suo Figlio e non lo salva dalla morte.
«Se la morte la respingiamo, ti costringe; se invece l’accogliamo, ti conduce». È attraversando la morte, anche se non la capiamo né l’accettiamo, che ci viene offerta la possibilità di intravedere un altro orizzonte, una via d’uscita impensabile.
Finché pensiamo alla morte partendo dalla nascita, ci appare un muro invalicabile. «Solo quando rinasciamo di nuovo, come Abramo, la morte non è più l’ultima parola».
Gli esercizi spirituali si concluderanno oggi.
Intanto questa mattina, mons. Peri, si è recato in visita ai carcerati ospiti della casa Circondariale di c.da Noce a Caltagirone.